domenica 29 aprile 2018

O si pota o si muore

di fra Damiano Angelucci




Dal Vangelo secondo Giovanni (15,1-8) – V domenica di Pasqua
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

COMMENTO
Una buona sintesi del Vangelo di questa Domenica potrebbe essere un’altra affermazione di Gesù. “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, chi la perderà per me, la salverà” (Lc 9,24). Nella metafora della vite, dei tralci e del vignaiolo non ci sono terze possibilità tra la decisione di essere tralcio secco che non porta frutto, e quindi essere gettato via, e la decisione di essere tralcio vivo che porta frutto e che viene potato perché porti più frutto.

sabato 21 aprile 2018

Per libero dono

di fra Damiano Angelucci



Dal Vangelo secondo Giovanni (10,11-18) – IV domenica di Pasqua
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

COMMENTO
La mia riflessione parte da un ricordo dei miei 4 anni vissuti in terra di missione - Benin (Africa dell’ovest) - in un ambiente religioso molto variegato e dove è molto radicata il senso e la necessita del sacrificio, in modo trasversale alle varie appartenenze religiose. Una volta mi fu posta una domanda sul significato della morte in croce di Gesù di Nazaret. La domanda era: in fondo, se il Dio adorato dai cristiani è un Dio che permette una morte così atroce per il suo Figlio diletto, come si potrà parlare di un Dio di amore? Se questo Padre che abbiamo nei cieli ha bisogno della morte cruenta del suo figlio Gesù per darci il suo perdono, come si potrà parlare veramente di un Padre misericordioso?

domenica 8 aprile 2018

Tendere le mani al dolore

di fra Damiano Angelucci



Dal Vangelo secondo Giovanni (20,19-31) – II Domenica di Pasqua
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

COMMENTO
“La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.” (Eb. 11,1). Questo brano di Vangelo ci aiuta ad immedesimarci con Tommaso detto Didimo, cioè gemello. Il suo bisogno di segni tangibili, veramente, ce lo fa sentire nostro fratello gemello. Anche noi ascoltiamo questo brano otto giorni dopo la Pasqua come lui, Tommaso, otto giorni dopo la risurrezione ebbe la possibilità di incontrare il risorto.