lunedì 30 dicembre 2013

Vietato l'ingresso ai maggiori di...

di fra Damiano Angelucci



Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 2, 13-15; 19-23)
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». 
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

COMMENTO

Lo sposo di Maria era un uomo che sognava spesso: stando al Vangelo di Matteo almeno in quattro occasioni: una prima volta un angelo gli "spiega" la gravidanza di Maria ( Mt 1,20), e poi i tre episodi del brano in questione. Spesso nella Bibbia il sogno non è la sede dell'ir-razionalità, ma piuttosto della sovra-razionalità, un "luogo" in cui Dio si comunica e si lascia intravedere, un "luogo" che è imprendibile dai sensi della ragione , che appunto è al di là del definibile. E' durante il sonno del primo uomo che Dio modella a partire dalla carne di lui la prima donna; è durante un sogno che Giacobbe intuisce la presenza di Dio nel luogo in cui si trovava. Per venire a fatti più recenti, è durante un sogno che i Magi sono avvertiti di non tornare da Erode a fargli il resoconto di ciò che avevano visto.


Per comprendere certe cose la ragione non basta!  Le cose di Dio, certe ispirazioni che vengono dall'Alto possono essere colte solo con una percezione intima , sintetica , immediata , intuitiva. Quello che avviene in un sogno in fondo è difficilmente spiegabile: rimane sempre qualcosa dai contorni sfumati, ne resta piuttosto una sensazione, come un sapore, una sorta di "retro gusto".

mercoledì 25 dicembre 2013

Il mistero dell'uomo inginocchiato

di fra Sergio Lorenzini



Tanti auguri ci raggiungono in questi giorni, via sms, mail, facebook, whatsapp, rari, ormai, i cartacei. Frasi semplici e veritiere, auguri ricercati e profondi, o parole proprie nate dalla vita. Ognuno si esprime come vuole e come può. Gli occhi scivolano veloci su quelle righe troppo nutrienti da digerirsi in breve tempo che non rilasciano il succo del loro significato ma solo il piacevole sapore del ricordo che qualcuno ha avuto di noi. Tra le tante, ne tengo una emersa dal gruppo: cartolina natalizia curata ed elegante, carta di qualità con stampata l’immagine della natività contorniata di brillantini dorati, un foglio bruciacchiato incollato all’interno con un brano poetico di Rilke sul Natale, e l’augurio personale di questo mio caro amico che ama sorprendermi e che non so sorprendere. 

«Questa notte … il silenzio e la tensione con cui si inginocchiano pastori e re magi. Proprio questo è il mistero dell’uomo inginocchiato, dell’uomo profondamente inginocchiato: che è più grande, secondo la sua natura spirituale, di quello in piedi!» (Rilke, Lettere di Natale). Sembra dire Rilke – paradosso – che a stare in ginocchio si diventa più alti che stando in piedi. E fulmineo è scattato il link mentale al bonario faccione di Don Oreste Benzi, che incontrato pochi mesi prima della sua morte, disse a tanti tra cui ero anch'io: «Per stare in piedi bisogna stare in ginocchio!». Di più ancora, però, mi ha augurato il mio amico: «Cresci pian piano fino a raggiungere l’altezza di un bambino».

sabato 21 dicembre 2013

Ciò che non si osa sperare

di fra Damiano Angelucci


Dal Vangelo secondo Matteo (1,18-25) - IV Domenica di Avvento
La nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe e, prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe, suo marito, che era uomo giusto e non voleva esporla a infamia, si propose di lasciarla segretamente. Ma mentre aveva queste cose nell'animo, un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati». Tutto ciò avvenne, affinché si adempisse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
«La vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele»,  che tradotto vuol dire: «Dio con noi». Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli aveva comandato e prese con sé sua moglie; e non ebbe con lei rapporti coniugali finché ella non ebbe partorito un figlio; e gli pose nome Gesù.

COMMENTO
Giuseppe figlio di Davide, ma di una linea marginale della sua discendenza; Giuseppe forse sapeva di non avere più nel DNA familiare i presupposti per essere o per generare il profeta-messia atteso dai giudei come salvatore. Tuttavia , proprio  laddove  la nostra umanità non può arrivare, può giungere Dio con il suo potente amore, per compiere l’inattendibile e l’inimmaginabile. Il merito di Giuseppe? Aver capito che comunque Maria lo avrebbe reso felice, anche se non poteva immaginare come. Giuseppe non ha cercato una moglie della sua tribù, quella di Giuda, non si è preoccupato di custodire una discendenza adeguata alle sue radici, ma ha cercato le bellezza del cuore.

Non ci sono meriti umani nella salvezza di Dio, se non quello di cogliere i segni della sua presenza che lui sempre ci dà, con tutta l’umiltà che questo richiede. E la bellezza del cuore di Maria si è rivelata nel non cercare di salvare la faccia a tutti i costi, ma nell’abbandonarsi solamente alla volontà di Dio così come l’ha compresa nell’annuncio dell’angelo, accettando di sopportare il sospetto e la derisione degli uomini;  il cuore di Maria e di Giuseppe è un cuore pulito che non cerca compromessi, né scorciatoie o toppe che a volte producono danni peggiori di quelli che vorrebbero riparare. Dio ci ama e ci salva gratis ma entra dove trova porte aperte. 

mercoledì 18 dicembre 2013

Fede e preghiera

di fra Giuseppe Bartolozzi


Nella preghiera si tratta, innanzitutto, di stare con fede alla presenza di Dio che abita il nostro cuore. “Dio è in noi, al centro del nostro essere. Presente, vivo, amante, attivo. Là ci chiama. Là ci aspetta per unirci a Lui. Dio è là, siamo noi che non ci siamo. La nostra esistenza trascorre all’esterno di noi stessi, o perlomeno alla periferia del nostro essere, nella zona delle sensazioni, emozioni, delle immaginazioni, delle discussioni … in questa periferia dell’anima, rumorosa ed inquieta. 

L’orazione è lasciare questa periferia tumultuosa del nostro essere; è raccogliere, radunare tutte le nostre forze e immergersi nella notte arida verso la profondità della nostra anima. Là non resta che tacere e farsi attenti. Non si tratta più di sensazioni spirituali, si tratta della fede: credere nella presenza di Dio. Adorare in silenzio la Trinità vivente. Offrirsi e aprirsi alla sua vita zampillante.

Se volete che tutta la vostra vita divenga una lunga preghiera, una vita alla presenza di Dio, una vita con Dio, se volete diventare delle anime di preghiera, sappiate, durante il giorno, rientrare spesso in voi stessi per adorare il Dio che vi attende. Non c’è bisogno di un tempo prolungato: un tuffo di un istante, e ritornate ai vostri compiti, ma ringiovaniti, rinfrescati, rinnovati” (H. Caffarel). Dicevamo l’ultima volta che la nostra preghiera è autentica se è autentica la nostra fede, come quella che nel Vangelo è mostrata dal centurione romano nei confronti di Gesù: “Dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”(Mt 8, 8). Se un pagano, quale era il centurione, ha potuto riconoscere, certo per una grazia singolare, la presenza di Gesù come Salvatore in maniera così chiara e netta, perché noi, i fratelli di Gesù, fatichiamo a volte così tanto ad abbandonarci a Lui? Ecco un aspetto della povertà della nostra preghiera.

martedì 17 dicembre 2013

La preghiera è una cosa semplice!


La preghiera è una cosa semplice, ma questo fatto non esclude il bisogno di un’iniziazione. Anzi, direi che è la semplicità stessa ad esigerlo. Infatti la spontaneità, l’immediatezza e la semplicità (qualità imprescindibili nella vera preghiera) non si trovano all’inizio, ma piuttosto al termine del nostro cammino umano e spirituale. E questo è vero in tutti i campi: la pattinatrice che piroetta con grazie e perfezione, sul vostro schermo televisivo, si è allenata per dieci anni, ogni giorno per cinque ore, estate e inverno. Pensate al teatro: un giorno assistendo con alcuni amici ad un’opera lirica italiana, avevamo notato che gli attori più naturali, più veri, quelli che quasi non sembravano recitare, erano i più anziani; ai primi dieci anni di studio intenso al conservatorio si erano aggiunti trent’anni di palcoscenico. Per riuscire a fare cosa? Ad essere totalmente semplici e spontanei. Possiamo senz’altro affermare che la naturalezza è un traguardo del cammino umano.

sabato 14 dicembre 2013

Segni Credibili Di Gioia Nuova

di fra Damiano Angelucci


Dal Vangelo secondo Matteo ( Mt 11,2-11 ) - III° Domenica di Avvento
Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me». Mentre questi se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. Egli è colui, del quale sta scritto:
Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero
che preparerà la tua via davanti a te.
In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.


COMMENTO
La piena conoscenza della persona di Cristo rimane incolmabile anche per Giovanni Battista che pure lo aveva battezzato nelle acque del Giordano e al quale era stato rivelato: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt3,17).

Gesù è mistero, cioè evento umano che porta in sé il divino, per definizione incontenibile nella mente umana, tanto che solo quando Egli si sarà definitivamente manifestato  «… lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). Per questo Gesù alla domanda di Giovanni: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?», non può che rinviarlo alla lettura dei suoi gesti, delle sue guarigioni, di quei segni che da una parte confermano le attese dei profeti, e dall’altro proclamano la beatitudine di chi non si scandalizza di lui, di chi proprio come il Battista è disposto a pagare di persona la fedeltà alla verità.

giovedì 12 dicembre 2013

La vera salute ancora oggi è liberarci dal male

di Andrea Monda
(tratto da un articolo apparso su Avvenire in data 11.12.2013)


Nella mia missione "archeologica", alla ricerca delle parole perdute, a metà strada tra Champollion e Indiana Jones, è una piccola fortuna il fatto di insegnare in un liceo classico. Così quando ho scoperto che la parola salvezza era evaporata all'orizzonte, non mi sono rassegnato alla perdita e ho rilanciato puntando sull'etimologia chiedendo ai ragazzi di III liceo (cioè dell'ultimo anno, secondo la vecchia articolazione con il ginnasio al biennio, ma "ginnasio" è ormai un'altra parola destinata all'estinzione): «Come si dice salvezza in latino?». Pronta la risposta, sono bravi, in latino: «Salus, salutis, della terza declinazione», Martina brucia sul tempo gli altri. 

«Ma non vuol dire anche salute?», chiede saputella Serena. Ecco, spiegando che salus ha due significati ma il primo e più importante è "salvezza", mi sono reso conto che non tutte le parole del lessico religioso sono andate perdute: alcune si sono perse ma solo perché sono state sostituite. È questo il caso di salvezza, che oggi appare parola antica, priva di senso (da che cosa ci dovremmo salvare?) e che ha lasciato il posto al "nuovo dio" che ha soppiantato l'antico: il dio salute. 

lunedì 9 dicembre 2013

Il Ritiro di Natale: "Andiamo a vedere il Signore!"

di Emanuela Mori


Perché vale la pena partecipare al Ritiro di Natale? Per fare una scelta convinta vogliamo conoscere, sapere: sapere se ciò che scegliamo ci invita, ci chiama, se tocca il nostro cuore, se è veramente bello. Se ne vale la pena. E come posso io aiutarvi in questo? Non ho ricette né soluzioni, ma posso raccontarvi la mia esperienza.

Il Ritiro di Natale è per noi ragazzi della PGV (Pastorale Giovanile-Vocazionale) uno dei momenti più importanti dell'anno: “ricarichiamo le batterie spirituali” e pieni di gioia siamo pronti per tornare ai posti di combattimento! Molti amici ci hanno chiesto: “ma perché siete così sereni e felici al rientro dalle vacanze? Le vacanze sono appena finite!!!” Eh, no... perché con Gesù nel cuore la vita è diversa. Provare per credere.

venerdì 6 dicembre 2013

Una grazia non meritata

di fra Damiano Angelucci


Dal Vangelo secondo Luca (1, 26 – 38) - II Domenica di Avvento
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.

COMMENTO
La seconda Domenica di Avvento cede il passo alla Solennità dell’Immacolata Concezione. Se il Vangelo di quella ci avrebbe posto dinanzi la figura di Giovanni Battista, uomo zelante e annunciatore zelante dell’inaugurazione del Regno di Dio, il Vangelo di questa Festa mariana ci propone a modello la persona di Maria, personaggio altrettanto forte e determinato, sebbene solo apparentemente più discreto. 

Il Vangelo di Luca di fatto si apre con il racconto di due annunciazioni. La prima rivolta a Zaccaria, uomo giusto, che con sua moglie Elisabetta osservava irreprensibile la legge e le prescrizioni del Signore ( cfr Lc 1, 6 ) e che stava officiando nel tempio del Signore, luogo sacro per eccellenza. La seconda rivolta a Maria, promessa sposa di uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe, che viveva in una regione crocevia di diverse etnie e quindi abitata da molti pagani. Zaccaria esita e dubita che il Signore possa esaudire ciò che tuttavia lui e sua moglie ormai da tempo avevano chiesto: il dono di un figlio. Maria non esita a credere al dono di un figlio dono dello Spirito, non solo impossibile sul piano della natura dato che non conosceva uomo, ma anche inatteso e oltre le sue aspettative. 

mercoledì 4 dicembre 2013

Guillebaud: sentivo l'esigenza di confrontarmi con l'enigma del male.



Il giornalista ed editore Jean-Claude Guillebaud ci racconta la sua storia di conversione. Nato nel 1944 ad Algeri, è un giornalista e saggista francese. Grazie alla vicinanza con pensatori cristiani come René Girard, si è riavvicinato al Cristianesimo attraverso un lavoro culturale di rilettura della Tradizione, dell'esperienza e del pensiero cristiano come chiave decisiva per comprendere le mutazioni del tempo presente.    

«Il contrario del peccato non è la virtù, bensì la fede! È vero che ritrovare delle convinzioni cristiane non è sufficiente per considerarsi tali, ridiventare cristiano implica qualcosa di più personale e io penso che la mia vita sia cambiato proprio da questo punto di vista.

Ho avuto la sensazione di essere come un bambino che ritorna a casa, che ritrova la sua abitazione. Per un po’ mi sentivo in questa situazione imbarazzante. Conoscete la parabola del figliol prodigo? Un uomo che ritorna nella propria casa e dimostra una sorta di ingenuità. Non ricorda più la bellezza dei mobili della sua casa e se ne meraviglia. Io mi sentivo in questo stato. Avevo riscoperto e riletto le scritture dei Padri della Chiesa e me ne sorprendevo, e ai cristiani che mi invitavano a tenere delle conferenze ripetevo quanto non si rendessero conto di essere seduti sopra un tesoro e sentivo che si trattava di una ricchezza, stupendomi che alcuni di loro avessero perso l’abitudine di meravigliarsi.

venerdì 29 novembre 2013

La grazia pegno della gloria

di fra Damiano Angelucci


Dal Vangelo secondo Matteo (24, 37-44) - I Domenica del Tempo di Avvento
 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

COMMENTO
Decisamente una buona notizia. Ci viene risparmiata la fatica di dover prevedere il momento del ritorno del Signore. Gesù dà un appuntamento piuttosto vago, apparentemente un "non appuntamento": "nell'ora che non pensate il Figlio dell'uomo verrà". Il Figlio dell'uomo è Gesù stesso nella veste di giudice (misericordioso) e non ce lo dice per incutere paura ma per prepararci a quello che necessariamente dovrà avvenire quando, secondo la profezia di Daniele, uno “simile a  Figlio dell'uomo” ( cfr Dan 7,13-14 ) comparirà sulle nubi e a lui verranno affidati potere , regno e gloria.

Gesù in realtà non abbandona mai la storia dell’uomo. Egli è sempre con noi così come ha promesso: " Io sono con voi fino alla fine del mondo" ( Mt 28,20) . Non ci inganni il fatto che Gesù parli del suo secondo Avvento come se ci fosse una partenza e poi un ritorno, perché Egli vuole semplicemente dire che da dopo l'Ascensione continua a camminare con noi, ad essere presente con il suo Spirito e che solo alla fine di questa nostra storia tornerà ad essere visibile a tutti  come alla prima venuta. Questa volta però il suo rendersi visibile non  sarà più nell'umiltà di una condizione umana sofferente e oltraggiata come due mila anni fa', ma nella luce splendente, gloriosa della sua divinità, per giudicare i vivi e i morti e per ricapitolare tutta la storia nelle sue mani (misericordiose).

mercoledì 27 novembre 2013

Presenza e preghiera

di fra Giuseppe Bartolozzi


Il silenzio è un aspetto essenziale della preghiera cristiana nella misura in cui permette di aprirci alla presenza di Dio e di ascoltare la sua Parola, che è il suo Figlio: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!”(Mc 9, 7). “Noi siamo assillati dalla vita e stanchi e ci guardiamo intorno se c’è un luogo di tranquillità, di autenticità, di ristoro. Vorremmo riposarci in Dio, lasciarci cadere in lui, avere da lui nuove forze per andare avanti. Ma non lo cerchiamo là dove egli ci aspetta, dove è raggiungibile da noi: nel Figlio suo che è la sua Parola”(von Balthasar). 

L’espressione dell’Apocalisse: “Ecco, sto alla porta e busso”(3, 20), indica con chiarezza che Gesù è presente, è alla porta del nostro cuore: bisogna solo aprire nella fede al Signore che attende. Quest’aspetto è davvero importante per la nostra vita di preghiera: “Indipendentemente da tutto ciò che possiamo sentire o non sentire, dalla nostra preparazione, dalla nostra capacità o meno di formulare dei bei pensieri e qualunque sia la nostra situazione interiore, Dio è lì accanto a noi. … Qualunque sia il nostro stato di aridità, la nostra miseria, l’impressione che il Signore sia assente, non dobbiamo mai mettere in dubbio questa presenza. … Ancor prima che noi ci mettiamo alla sua presenza, Lui è già là, poiché è Lui che ci invita ad incontrarlo. … Dio ci desidera infinitamente più di quanto noi desideriamo Lui” (J. Philippe).

lunedì 25 novembre 2013

Pregare: un modo per non diventare "alieni"


Il termine "alieno", viene dal latino alius, e ancor prima dal greco allos, che significa semplicemente "altro". Gli alieni non sono gli extraterrestri verdi smaniosi di conquistare il mondo, gli alieni siamo spesso noi. E quando siamo alieni? Quando siamo altri, lontani da noi stessi, da avere quasi la sensazione fisica di non appartenerci più. Quando non sentiamo nostra la vita che viviamo, quando in testa ci fluttuano pensieri che non vorremmo ospitare, quando le parole che diciamo sembrano tradirci più che rappresentarci, quando le azioni che compiamo non ci esprimono ma ci sbugiardano, quando ci sentiamo burattini impazziti spinti qua e là da fili invisibili, quando osserviamo la vita scorrerci via quasi fossimo estranei a noi stessi, appunto "altri". Perché? Perché spesso siamo lontani da noi stessi, profondamente incapaci di ascoltarci, del tutto ineducati a farlo. Ci fanno bene allora le righe di questo santo monaco.

venerdì 22 novembre 2013

Roma o Gerusalemme

di fra Damiano Angelucci


Dal Vangelo secondo Luca ( Lc 23, 35-43 ) - XXXIV domenica del Tempo Ordinario
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

COMMENTO
Che ha a che fare Roma con Gerusalemme,  il regno con la croce? Che ha a che fare Atene con Gerusalemme, la sapienza umana con la sapienza della croce? Tutti chiedono a Gesù di mostrare la sua forza, la sua divinità. Dopo tutto non ha forse dato segni eclatanti dei suoi poteri soprannaturali, arrivando perfino a resuscitare i morti? I capi religiosi, i militari, un condannato, sembrano essere i rappresentanti di situazioni di vita che reclamano da Gesù la dimostrazione di quello che Lui ha detto di essere. 

giovedì 21 novembre 2013

Basta! Basta! Basta con questa finzione.



La bellissima testimonianza di suor Cristina Alfano, dalla carriera di cantante lirica a suora francescana

"Fondamentalmente mi professavo non proprio atea, ma lontanissima da Dio. Neanche credevo che esistesse o in fondo non mi interessava, malgrado avessi una famiglia cristiana. Il rapporto con la fede era inesistente, e questo mi permette ora di comprendere moltissime persone che, quando parli loro di Dio, ti dicono: "tu sei fortunata, io non sento niente!" Questo mi aiuta a comprendere e sostenere queste persone. Nella mia vita è stato così: c'è un passaggio, c'è un momento in cui, non so perché, qualcosa avviene e tu senti ... C'è stata questa fase di innamoramento, qualcosa per il quale esci da quella stanza e rivedi esattamente le stesse cose, tu sei sempre la stessa, ma la vedi con occhi diversi perché hai sentito che c'era nel tuo cuore un amore che ti permetteva di vederla diversamente. Il sentirmi amata mi ha permesso di vedere diversamente le cose ... Le parole non possono rappresentare questa immensità ... 

Ho iniziato a studiare canto, fino ai 18 anni, poi il conservatorio e poi gli studi a Roma. Avevo realizzato quello che fino a quel punto avevo pensato essere il mio sogno, cioè iniziare a cantare, le prime audizioni, concerti, registrazioni, CD. Lì però ho visto che c'era qualcosa che mi mancava, c'era un vuoto ... Sono stata in America, in Francia, in Inghilterra e ho incontrato tante esperienze diverse, però c'era sempre questo vuoto, questa ricerca di senso. Mi ricordo di aver detto: "non è possibile che la vita sia questo!" Così ho avuto la forza di urlare: basta! Basta! Basta con questa finzione! La vita non è finzione, è qualcosa di reale. 

La crisi, che ti porta a mettere in discussione ciò che stai facendo e a cercare l'autenticità, per me non era Dio nè tantomeno la fede, ma ricercare una pienezza, qualcosa che riempisse questo vuoto ... 

Poi ...

sabato 16 novembre 2013

Croce ® (marchio registrato)

di fra Damiano Angelucci


Dal Vangelo secondo Luca (21, 5-19) - XXXIII Domenica del Tempo Ordinario
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

COMMENTO
Credevo che l’Italia fosse un ottimo esempio di “ regno del tarocco ” . Andando in Benin mi son dovuto ricredere perché laggiù nella vicina Nigeria son capaci di imitare, o meglio ci provano, qualsiasi prodotto di marca. Dico ci provano perché poi sulla distanza ti accorgi che anche le migliori imitazioni non durano nulla; ma questo non importa poi tanto al medio consumatore africano che si accontenta di attirare un po’ di attenzione sulla sua T-shirt di “Dolce e Gabbana” o sulla sua “Laqoste”, scritto (con la q di quadro). Esiste il tarocco e la contraffazione anche del nome di Cristo e Gesù ce ne mette in guardia. “Verranno nel mio nome dicendo ‘sono io’… non andate dietro a loro”. Quanto è vero che nel corso dei secoli il nome di Gesù è stato manipolato, strumentalizzato, strapazzato, girato e rigirato per gli intenti più bassi e di palese autoesaltazione! Con il nome di Cristo sulla bocca c’è chi ha fatto (e sta facendo) carriera in politica, negli affari o nel quartiere.

venerdì 15 novembre 2013

Oro sulle ferite


Navigando nel mare di internet si incontrano a volte cose molto belle. Questa è una di quelle che ho avvistato, grazie alla segnalazione di un'amica, e poiché il messaggio che trasmette è davvero d'oro, la condivido qui con voi. (fra Sergio Lorenzini)

Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro. Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello. Questa tecnica è chiamata “Kintsugi.” Oro al posto della colla. Metallo pregiato invece di una sostanza adesiva trasparente. E la differenza è tutta qui: occultare l’integrità perduta o esaltare la storia della ricomposizione? 

mercoledì 13 novembre 2013

Silenzio e ascolto

di fra Giuseppe Bartolozzi


L’episodio evangelico di Lc 10, 38-42, da cui siamo partiti per la nostra scuola di preghiera, ci presenta l’atteggiamento contrapposto di Marta e di Maria nell’accogliere Gesù nella propria casa: la prima è presa dai molti servizi e quindi agitata; la seconda, invece, sta in silenzio ed in ascolto ai piedi di Gesù, occupata esclusivamente dalla sua presenza.

martedì 12 novembre 2013

Pioggia e sorgente: un gioco divino

di Paul de la Croix, (Eremitage de la Source, 1981)



Tra la pioggia e la sorgente vi è un gioco divino.
La sorgente riceve. Tutto. Sa soltanto ricevere.

È accoglienza. È sete. È attesa. Povera, essenzialmente povera.

Ed ecco che la sorgente assetata nasconde questo dono che viene dall’alto nel mistero e nel silenzio. Nella purezza originaria della madre terra. La sorgente non sa cosa sia l’impazienza. Non si cura di fare sfoggio delle proprie ricchezze. Sa attendere. Conosce il prezzo di una lunga elaborazione sotterranea. 

L’acqua piovana, a volte, è torbida; ma chi dice acqua di sorgente, intende l’acqua limpida, più pura e più fresca. Acqua di sorgente! Un giorno la sorgente offre al cielo e a gli uomini il suo tesoro da tempo celato. A sua volta si fa dono e dispensa, a intervalli, la pioggia: giorno e notte, estate e inverno.

Esistono sorgenti che non inaridiscono mai. Essa hanno accolto la pioggia a tali profondità ed a tali altezze, che ciò che avviene in superficie non può toccarle.

Così è la contemplazione.
Essa è il cielo e la terra nell’uomo.
È l’uomo fatto di cielo e di terra.
È purezza e dono nella povertà.
È il gioco divino della saggezza.

lunedì 11 novembre 2013

Poligami in paradiso?

di fra Damiano Angelucci



Dal Vangelo secondo Luca (20, 27-38) - XXXII Domenica del Tempo Ordinario
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
 

COMMENTO
I sadducei del tempo di Gesù non erano poi così diversi da tanti nostri cristiani: convinti si della fedeltà delle promesse di Dio riguardo un’era di pace e di giustizia, e di vittoria definitiva sul male e sulla morte, ma molto perplessi per non dire scettici sulla resurrezione dei corpi.

martedì 5 novembre 2013

Kéchichian. «Dall’ombra totale sono passato alla luce totale»


L’itinerario di Patrick Kéchichian, critico letterario e scrittore, attraversa gli ultimi decenni del secolo breve. E traccia la parabola di un’inquietudine personale profonda che ha trovato nella carità del Nazareno – attraverso le pagine mirabili di Kierkegaard – la risposta alle domande che ciascuno, forse, non riesce neppure a porsi. (riportiamo di seguito un'intervista realizzata da Lorenzo Fazzini e pubblicata su Avvenire il 22 luglio 2013)

Cosa è successo nella sua vita perché lei si possa definire “un convertito”?

sabato 2 novembre 2013

Partire dal(la) fine

di fra Damiano Angelucci



Dal Vangelo secondo Matteo (5,1-12) - Festa di tutti i santi
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.

mercoledì 30 ottobre 2013

Primi passi verso la preghiera del cuore

di fra Giuseppe Bartolozzi



Riportiamo di seguito il contenuto del nostro primo incontro della scuola di preghiera.

Scuola di preghiera! Precisiamo innanzitutto: chi è il Maestro di questa scuola? Il maestro è lo Spirito santo: “… lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili”(Rm 8, 26). Lo Spirito di figli di Dio, quindi lo Spirito di Cristo (cf. Rm 8, 9), è l’artefice della nostra preghiera: è lui che dentro di noi grida “Abbà, Padre!”(Rm 8, 15). 

lunedì 28 ottobre 2013

Perchè una scuola di preghiera?

di fra Sergio Lorenzini


Georges Bernanos, grande scrittore parigino del secolo appena trascorso, scriveva che «non si può capire nulla della civiltà moderna se, prima di tutto, non si riconosce che essa è una cospirazione universale contro qualsiasi forma di vita interiore». A nessuno sfugge il ritmo frenetico imposto ai nostri giorni dagli ingranaggi familiari, lavorativi e commerciali. Siamo continuamente presi nell’affanno degli affari, costretti a rincorrere bisogni, reali o presunti, che ci si presentano ogni giorno. E ci troviamo dentro il paradosso odierno: avere mille mezzi senza uno scopo, mille cose da fare senza sapere chi siamo e chi vogliamo essere

sabato 26 ottobre 2013

Fissando il Signore

di fra Damiano Angelucci
Dal Vangelo secondo Luca (18, 9-14) - XXX Domenica del Tempo Ordinario
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». 

COMMENTO 
Lo spirito di competizione e di arrivismo inquina i rapporti umani e a volte anche quelli spirituali, perché ci porta a fare la gara sull’altro anziché sul traguardo da raggiungere. La meta del nostro pellegrinaggio è l’incontro con il Signore e già possiamo in anticipo assaporarla se apriamo la nostra coscienza alla sua legge di amore, alla sua Parola, alla pratica sincera dei suoi comandamenti. Ecco, dovremmo fare la gara su di lui, capendo quanto mi manca al traguardo; perché così facendo avremo sempre qualche lacuna da colmare e troveremo nella sua misericordia il necessario per restare al passo e confidare serenamente nel raggiungimento della meta.

lunedì 21 ottobre 2013

Spremere un limone rachitico ovvero parole senza succo!

di fra Sergio Lorenzini



Ad ogni ritiro che mi capita di vivere con adolescenti e giovani, raramente viene smentita la mia convinzione che il momento più difficile da vivere sia per loro il deserto, il momento del silenzio e del raccoglimento, dello stare soli con se stessi e con Dio per ascoltarsi e ascoltare, per connettersi con se stessi e scavare dentro la propria vita. E cerco di convincerli che in fondo un quarto d’ora si può fare, che è importante imparare a vivere momenti di silenzio, che ciò dà loro profondità ed equilibrio, che basta superare quell’iniziale smarrimento per accedere poi a una profondità gustosa e ricca.